La storia della Tenuta La Botanica

Le origini della Tenuta

In antichità si ha notizia che il fondo facesse parte dei dominii di caccia dei conti Biraghi Porro, parte a brughiera parte a bosco alto, come per altro tutto il territorio ferrettizzato dell’attuale parco delle Groane. I Porro erano i nobili possidenti di ogni cosa in zona e della loro presenza all’epoca vi sono due fondamentali testimonianze artistiche nei cicli affrescati dell’Oratorio di Santo Stefano, in centro a Lentate sul Seveso, e della cappellina del Mocchirolo oggi ricomposta nella pinacoteca di Brera, fra le massime testimonianze pittoriche d’età giottesca in Lombardia (scuola di Giovanni da Milano).

 

La presenza dell’argilla ha sempre impedito, almeno fino all’avvento della meccanizzazione, l’aratura e la semina produttiva dei fondi nelle Groane, sicché l’uso a scopo venatorio di questi territori è sempre stata la vocazione primaria, assieme all’utilizzo della materia prima per far mattoni cotti in fornace.

La svolta del Gerbino

Nella seconda metà dell’800 il fondo (assai più esteso dell’attuale) passò in proprietà a un certo A. Gerbino. Risulterebbe che egli fosse un ufficiale dell’Esercito in congedo, persona di grande umanità e di origine ebraica.

 

Il nome di questo Gerbino potrebbe iniziare per A come scritto sulla carta di confezione del suo prodotto “pane al miele”, mentre Filippo, che da il nome all’omonima via di Birago, è il figlio, morto aviatore nella Grande Guerra.

 

Gerbino, poiché grande appassionato, realizza al centro della tenuta un giardino botanico piantumando una grande quantità di cedri del Libano.

 

Da qui prende il nome nel tempo “La Botanica”, nome che conserva tuttora.

 

Solo in seguito si costruisce la casa d’abitazione, sostanzialmente come è ora. Una villa eclettica tipica della fine ‘800, con evocazioni stilistiche diverse, poco locali, forse un pizzico mitteleuropee. Il tetto a cappuccina, i soffitti alti 3 metri, gli scaloni lignei, la cappa del camino in rame, la presenza di un bagno per ciascuna camera da letto padronale, le stanze comunicanti tra loro e disimpegnate da un corridoio, il piano della servitù non nell’ammezzato ma spostato all’ultimo piano, rendono la villa un mix avanguardista tra l’architettura della Brianza e delle case di campagna inglesi. Gerbino inoltre si occupa anche della realizzazione di subirrigazioni e cisterne per il recupero dell’acqua piovana.

 

Gerbino è sicuramente un uomo di grande ingegno e di vedute moderne. Investe nella creazione di un apiario che lui dice essere fra i più grandi del tempo, forte della presenza già rigogliosa di estesi boschi di acacia  . Con il miele d’acacia inventa una ricetta e avvia la produzione del pane di miele, che viene riconosciuto per le ottime doti terapeutiche nei confronti dei malati di petto (da non trascurare la vicina presenza del Sanatorio antitubercolare di Milano a Garbagnate). Costruisce in sito, una fabbrica per la produzione industriale di questo pane. La famiglia Cazzaniga conserva oggi un involto originario, dove l’azienda viene denominata “A.Gerbino” e si vedono i fabbricati sostanzialmente non dissimili da quelli che si osservano oggi. La lunga stecca era la fabbrica di confezione del pane e vi erano quattro forni, riconoscibili in altrettante torrette poste sul lato orientale dello stabile.

 

Gerbino aveva molti lavoranti locali, aveva aperto un proprio negozio di vendita in via Torino, 48 a Milano ed era fornitore della Real Casa.

 

L’uomo era ben visto in paese e sapeva farsi benvolere, donando tutti i giorni ai bambini del villaggio che si presentavano alla fabbrica una pagnotta per la refezione. Pare con effetti benefici sulla salute dei piccini, come racconta la carta. La carta che avvolgeva il pane di miele è una sorta di carta qualità, che racconta i benefici del pane ed è la testimonianza storica della tenuta.

Da Gerbino ai Sozzani

Come detto, il figlio, aviatore, muore in guerra. Il Gerbino vende la proprietà; la fabbrica del pane al miele prosegue sino al 1930-35. Con la scoperta dei sulfamidici prima e degli antibiotici poi, il pane di miele si avvia al declino perché non più utilizzato per i “malati di petto”.

 

La tenuta attraversa diversi passaggi di proprietà.

 

Viene acquistata dal Marchese Casati e venduta successivamente alla famiglia Sbarufatti.

 

Sbarufatti Ernesto Marco nato nel 1878 è un allevatore di cavalli, piuttosto esuberante, talmente libertino da girare con una carrozza a sei, appannaggio esclusivo del Re Savoia e per questo più volte multato. Compra la Botanica prima del 1923 e lo stesso anno nasce la figlia Ada nella camera celeste della Villa Botanica.

 

In seguito subentra la famiglia Sozzani. Secondo le testimonianze raccolte nel tempo, e in particolare dalla Sig.ra Fumeo, vicina di casa e titolare di un’azienda di cravatte, dal custode Giovannino e dal fattore di casa Antonio, i Sozzani erano anche loro ebrei e banchieri di professione, sfollati da Milano durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

A quell’epoca risalirebbero molte ristrutturazioni dell’azienda e l’avvio della bonifica agraria, nonché, fatto fondamentale in questo racconto, la costruzione di imponenti gallerie sotterranee, il cui sviluppo è in parte noto alla proprietà attuale, per averle percorse e poi sigillate per prudenza, e in parte da indagare nel loro sviluppo. Sono attualmente in corso degli accertamenti geologici per ricostruire il percorso completo del sotterraneo. Si tratta di condotte grandi abbastanza per il transito di cavalcature (vi sono ancora anelli per legare i cavalli), in muratura e volta in mattoni. La loro costruzione potrebbe essere avvenuta con scavo e reinterro, stante che in un tratto noto sono risultate sovracoperte da un vespaio in cocci di mattoni e poi terra di coltivo. Collegavano la villa allo stabilimento e alla casa del fattore e pare vi fossero estensioni fino all’estremo sud della tenuta, verso Cogliate e ad oriente verso Birago.

 

Si dice fossero vie di fuga da ipotetici nemici.

 

Ad oggi, non si ha certezza della data di costruzione dei sotterranei.

 

Furono costruite dai Sozzani o dal Gerbino?

 

La Signora Fumeo e il fattore ricordavano che i Sozzani nascosero nelle gallerie del sotterraneo molti rifugiati, familiari e non. E’ ricordato in particolare un episodio di soldati americani paracadutati in azienda che rimasero nascosti nelle citate gallerie per poi essere trasbordati verso il confine svizzero, nascosti in carrozze d’epoca, durante una festa organizzata ad arte, affinché i repubblichini non le fermassero ai numerosi posti di blocco disposti lungo la frontiera.

 

Sui numeri delle persone salvate dalla persecuzione nazista vi sono discordanze e appaiono verosimilmente, c’è chi dice 150, ma è da verificare.

Dai Sozzani ai Cazzaniga passando per Ruben

I Sozzani vendettero il fondo dopo la fine della guerra. Successivamente, nel boom economico del dopoguerra, la proprietà subì diversi passaggi di mano. Nel 1951, il nonno Luigi Cazzaniga acquistò il bene da tale Ruben, industriale laniero di Biella.

 

Ultimo aneddoto: pare che nella fuga i Sozzani avessero nascosto ori e gioielli di famiglia nella villa.  Vi fu un periodo nell’immediato dopoguerra in cui la villa fu abitata da un lavorante, il cui figlio si doveva maritare. Poco prima delle nozze avvenne il solito inconveniente tipico da “legge di murphy”, ovvero lo sciacquone del water si era incastrato. Nel rimediare all’incidente, smontando l’impianto e chiudendo l’acqua si accorsero che il tutto era causato da un fagottino che conteneva all’interno un gioiello, pare di importante valore. Fu valutato e venduto per acquistare un’altra proprietà.

 

L’aneddoto ci è stato raccontato dal nipote. I Sig. si chiamavano Barbieri ed erano gli affittuari di Ruben.

 

Se nel leggere questa storia, qualcuno di voi avesse informazioni o curiosità, ci piacerebbe ascoltarle per poter aggiungere altri tasselli alla storia della Botanica.